Forse sarà la velocità del tempo a portare via il ricordo di questo papa prima del previsto, o forse le azioni incalzanti di nazioni bellicose o le fandonie di nuovi edonisti di governo. Forse, in verità, sarà l’effetto cumulativo di tutto questo a seppellire di nuovo quel patrimonio di speranze che l’argentino aveva saputo rimuovere dal fondo; ma per tre giorni, tre sacrosanti giorni di un anno qualunque, sono stati la storia e i suoi veleni a uscire di scena. I tre giorni in cui la bara di papa Francesco è rimasta aperta sotto la cupola di San Pietro. Oddio, non che non ci abbiano provato, perché in quei tre giorni sono cadute bombe su Kiev, gli invasi si sono presi le colpe degli invasori, l’Earth Overshooy Day 2025 arrivava già per una buona manciata di paesi, e un signore bombardava ancora quel che resta a Gaza, ambulanze e ruspe.

Tre giorni in cui le patetiche imprese di quei personaggi deliziosi sono passate nelle pagine interne, mentre le immagini delle migliaia di persone che facevano la fila per entrare in basilica tenevano testa, e la gente si metteva in viaggio per rendergli omaggio.

Così ho fatto anch’io, perché la sua voce mi mancherà. Lo accusavano di fare politica mentre parlava di ospitalità, solidarietà e rinuncia alla tentazione del dominio, e la gente lo amava ancora di più… I responsabili pubblici criminalizzavano l’accoglienza dello straniero ed esaltavano la guerra, e la gente lo ricordava ancor di più…

Al di là di quello che scriveranno i più esperti commentatori, papa Francesco era semplicemente un uomo preoccupato per le crisi dei tempi moderni, che cercava di contrastare l’antiumanesimo dilagante, portato avanti in nome della patria, della (“mia/nostra”) famiglia e purtroppo anche di Dio. In nome di un dio con il passaporto e l’ideologia giuste. Il presidente Milei aveva addirittura detto di Bergoglio che era “el hombre del diablo en la Tierra”. Ogni giorno che passa, siamo circondati da un numero più numeroso di uomini di Stato che giustificano l’odio e l’oppressione degli sfortunati. Per questo, papa Francesco era amato, e la gente lo ha voluto manifestare dopo la sua scomparsa. Poi, al funerale, ci saranno anche quelli che lo avevano maledetto, che lo avevano definito un traditore, insomma i soliti farisei dei tempi moderni, uomini di una legge che non è uguale per tutti. Ci saranno, mostrandosi però in tutta la loro nudità, come figurine di cartone esposte agli occhi di tutti…

Francesco ha legiferato dove gli altri praticano la Legge del Più Forte.

Nell’enciclica Laudato sì, con le parole proprie di un uomo di Chiesa, ha comparato il creato a quel pianeta Gaia di cui parlava James Lovelock, un organismo complesso in cui le condizioni per la vita sulla Terra sono determinate da articolate relazioni di interdipendenza a cui gli Umani non si possono sottrarre. Ed ha criticato l’antropocentrismo moderno, che ha collocato la ragione tecnica al di sopra della realtà, contrapponendovi un’ecologia integrale e prendendosi per questo parole di scherno da molti pseudo-modernizzatori.

Con Fratelli tutti, ha smascherato l’ideologia della frontiera in nome di una fraternità universale. Questa ci impone di superare le nostre appartenenze neocoloniali e di abbandonare linguaggi fatti di “aggressività senza pudore”, riconoscendo che le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo. L’enciclica fu l’atto fondante di un costante richiamo a pensare e generare un mondo aperto, richiamo che continua a renderlo antipatico a molti populisti.

Con Dilexit nos, ha rimesso al centro il cuore, in una società liquida che svaluta il centro intimo dell’uomo, e ci ha invitato a bere dell’amore di Cristo, che tanto scandalo ha generato nei secoli, per ristabilire uno spirito di riparazione nelle relazioni umane e in quelle sociali. E’ stata la sua ultima enciclica, prima che la malattia consumasse le sue forze. Ed è con la forza dell’amore riparatore che sovente chiamava la parrocchia di Gaza, durante la guerra, per accertarsi di come si vivesse mentre continuavano i bombardamenti.

Ed ha ricongiunto dove i sobillatori gridavano allo scontro con gli infedeli e alla rottura con civiltà ritenute inconciliabili con la modernità, ed in particolare i musulmani, al punto da firmare nel lontano 2019 un documento collegiale con il Grande Imàm di Al-Azhar, Àhmad Al-Tàyyeb, dopo una lunga stagione di guerre di Stato nel cuore dell’Islam e di sanguinosi attentati terroristici in Occidente ed Oriente. Documento nel quale si leggeva quanto non sta scritto neppure nelle più avanzate costituzioni liberali: “Chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera”.

Penso che ognuno di coloro che hanno fatto la fila per dare l’ultimo saluto al papa avesse un ringraziamento e un affetto particolare da manifestargli; io gli sono grato per aver ridato dignità all’umanità e al creato, e per aver riportato lo spirito del Vangelo nelle cose del mondo. Sapere che non sappiamo chi prenderà le redini della Chiesa, nel momento in cui le nazioni esaltano lo scontro e la cultura del dominio, è terrificante, e affidarsi a un papa perché la classe politica si è fatta più egoista avvilente, ma questo è quanto molti provano. La fila in cui mi sono trovato quel giovedì 24 aprile davanti a San Pietro è stato però qualcosa di straordinario, ancor più perché l’umanità presente era di ogni costume, stile e forse intendimento. Riconosceremo senza dubbio in cosa questo papa fuori dalla corrente a cui ci aveva abituato la Curia abbia fallito, in cosa non si sia sufficientemente dimostrato un “riformatore”. Tuttavia, il cambiamento che ha apportato è forse qualcosa di più profondo, non necessariamente scritto – così oso sperare – e credo di averne avuto un segno qualche giorno fa.

Il giorno di Pasqua, mi trovavo a Mantova, in Norditalia, e sono andato alla liturgia del mattino in duomo, preparandomi a qualcosa di noioso o quantomeno ordinario. Invece, con mia sorpresa, il vescovo aveva cambiato completamente la disposizione dell’assemblea, mettendo le sedie a formare un rettangolo attorno alla navata centrale, e piazzandosi il vescovo stesso su un lato come facente parte dell’assemblea, mentre un altare era stato posto al livello dell’assemblea stessa, esautorando delle sue funzioni quello distante e monumentale che si erge nell’abside. Ed ha parlato di nuovo connubio tra innovazione e tradizione in seno alla missione della Chiesa, come l’incedere di un giovane svelto e intraprendente e quello di un vecchio saggio che devono andare avanti insieme. Erano anni che non mi sentivo così incoraggiato a non vergognarmi della mia fede.

Nel feretro, papa Francesco aveva una pelle dai riflessi verdastri, propri della tristezza della morte, ma il suo viso era sereno, quasi lucente. Ho addirittura avuto la sfuggente impressione di un mezzo sorriso. Non lo dimenticherò, e neppure dimenticherò che ad aver paura della morte devono essere altri. Alcuni di loro si troveranno ai funerali, ma senza aver il privilegio di portare a casa l’immagine del viso di un papa del popolo. Peccato per loro, non riporteranno a casa che quello con cui erano partiti per Roma. Vigliaccheria e prepotenza.

(pubblicato su Comune-info.net il 26 aprile 2025)

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